Conoscenza e tutela del patrimonio architettonico moderno e contemporaneo: esperienze a confronto

Giuseppe Pettazzi, Fiat Tagliero, 1938, Asmara, Eritrea, courtesy Susanna Bortolotto, Nelly Cattaneo. 73 il progetto, poi non realizzato, per la sede della State Bank of Eritrea, il quale prevedeva la completa demolizione di due isolati centrali per costruire un edificio di dieci piani. Questo episodio segnò l’inizio della presa di coscienza del fatto che Asmara avesse dei caratteri precisi e irrinunciabili, che andavano conservati a fronte delle forti spinte per la trasformazione della città. Gli abitanti di Asmara probabilmente apprezzavano la propria città per il suo essere un ambiente urbano a misura d’uomo, per certi versi egualitario e ‘normale’, privo di edifici dominanti sugli altri, e questo carattere rappresentava un valore da salvaguardare. Le misure adottate a seguito di questo episodio riguardarono quindi prevalentemente la tutela dei caratteri urbani di Asmara e si tradussero nel divieto, a partire dal 1997, di costruire e intervenire nelle aree centrali della città. È questo l’anno che viene solitamente indicato anche come inizio del CARP. Un apposito comitato composto da tecnici del municipio e del CARP, affiancati da consulenti esterni, definì l’Historic Perimeter of Asmara all’interno del quale circa quattrocento edifici furono censiti, schedati come significativi e divisi in tre categorie che regolavano gli eventuali interventi in base alla loro importanza Ministero del Turismo, e dell’urbanista Gabriel Tzeggai. Per il primo Asmara era innanzitutto una città eritrea: l’occupazione italiana aveva imposto valori e stili di vita estranei, di cui il patrimonio architettonico era chiaramente il simbolo, ma il destino della città ora doveva essere lasciato appieno nelle mani del popolo eritreo, il quale aveva quindi la facoltà di trasformarlo e sostituirlo (Casciato 1999, p. 6). Per il secondo, che pochi anni dopo si domandava apertamente se e come fosse possibile per i suoi connazionali dichiarare patrimonio qualcosa che non era nato dalla loro cultura, e che per di più richiedeva a una popolazione povera ingenti risorse per la sua conservazione, l’architettura di Asmara faceva parte di un patrimonio che certamente apparteneva al popolo eritreo, ma questo implicava in primo luogo la responsabilità di gestirlo nel comune interesse dell’umanità (Tzeggai 2008, p. 38). La volontà eritrea di tutelare Asmara e le sue architetture di periodo coloniale prevalse, tuttavia può ancora oggi essere vista come il risultato di processi con obiettivi diversi e che al tempo stesso condividevano il riconoscimento dell’altissima qualità delle sue architetture e del suo contesto urbano. Si potrebbe intravedere una prima volontà di tutela in nuce, ma esplicita e condivisa, quando poco dopo la metà degli anni novanta fu presentato

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