Capitale italiana della cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti.

CAPITALE ITALIANA DELLA CULTURA. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti. 260 la gestione della vita culturale di una città può spingere verso forme agili (i Tavoli della cultura), che consentono una mutua informazione e consultazione fra i partner ma non prevedono la delega di nessuna responsabilità all’organismo costituito, o forme molto più complesse (le Fondazioni, ad esempio, con tutte le loro declinazioni), che prevedono l’adozione di modelli organizzativi e costi di gestione. Anche in questo settore non c’è una soluzione adatta a tutti i contesti. Si evince che il titolo sia una forza aggregante importante nelle città insignite, come dimostrano i dossier di candidatura sottoscritti da moltissimi enti e persone. Una volta terminato l’anno rimane in molti il desiderio di mantenere viva qualche forma di condivisione. Appare altresì chiaro che conservare e trasformare i modelli di gestione adottati dell’anno da Capitale in una forma più stabile sia difficile una volta esaurito il primo scopo per cui la partnership era stata creata. I progetti più ambiziosi richiedono ovviamente tempi di negoziazioni più lunghi, mentre forme di coordinamento agili (nella forma di Tavoli o Cabine di regia) possono procedere con molta snellezza amministrativa ma non possono agire come soggetti giuridici. Le Capitali della cultura sembrano essere sempre più consapevoli del tema della legacy, in connessione con i modelli di gestione adottati, ma non solo. Le città ambiscono a rendere permanenti alcuni obiettivi centrati durante l’anno da Capitale, a prolungare gli effetti positivi sugli ambiti sui quali la policy ha agito. Anche per questo sembra fondamentale continuare a lavorare sulle questioni legate alla valutazione dei progetti culturali, con un continuo confronto fra l’efficacia di varie metodologie e approcci. Questo lavoro vuole contribuire al dibattito con una proposta elaborata in maniera specifica per l’analisi degli effetti della Capitale italiana della cultura. Dal lato metodologico, interessante appare portare all’attenzione la difficoltà, seppure prevedibile, di istituire nessi causali di correlazione causa-effetto fra la politica e quanto avviene sul territorio. Come esplicitato dal capitolo terzo, a volte l’investimento su un ambito genera effetti in altri settori: l’impegno a stimolare la vivacità delle attività culturali, ad esempio, può avere riscontri nell’ambito stesso, così come in quello della partecipazione del pubblico o in ambito turistico, ma può anche non averne, lasciando una situazione sostanzialmente inalterata. Questo quadro si complicherebbe ulteriormente se ripetessimo, magari fra altri 3/5 anni, la stessa rilevazione, con un modello diacronico. Prescindendo dai limiti e dai vantaggi del modello costruito, sembra chiaro come non sia possibile, stante la complessità dell’attuazione dei dossier di candidatura, immaginare un processo valutativo che porti a considerazioni assolute e classifiche di successo. L’unica valutazione metodologicamente circostanziata è in relazione agli obiettivi e ai risultati che ogni progetto ha voluto raggiungere. Qualora si volesse rendere la valutazione una fase prevista sistematicamente in tutti i programmi della Capitale italiana della cultura, potrebbe risultare funzionale suggerire una declinazione degli obiettivi strategici in obiettivi operativi, più semplici da tradurre in indicatori e, quindi, più facilmente valutabili. Una scelta di questo tipo permetterebbe di descrivere meglio i meccanismi che innescano il cambiamento delle città insignite dal titolo, cambiamento che in modi e misure differenti sembra l’iniziativa abbia sempre comportato. Francesca Neri e Gianluca Gennai Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali, area Supporto all’innovazione e progetti complessi

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