Capitale italiana della cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti.

259 Note conclusive In tutte le città si è rilevato che l’anno da Capitale ha arricchito e/o diversificato l’offerta culturale cittadina. L’indagine mostra come la vivacità dell’offerta culturale è correlata alla crescita della partecipazione, obiettivo che ha assunto uno spazio sempre maggiore nei dossier così come più in generale nel dibattito degli operatori culturali. In questo caso è possibile ipotizzare un “effetto Faro”, cominciato prima della ratifica della Convenzione e poi intensificato dall’adesione dell’Italia. Parallelamente all’affermarsi di questo obiettivo, meno vistosamente ma con una certa costanza si è proposto quello della crescita del turismo culturale e del miglioramento dell’immagine mediatica della città. È indubbio, infatti, che l’anno da Capitale comporti una crescita nell’immagine e nella visibilità mediatica e che questo non sia un effetto ‘accidentale’ dell’attuazione del dossier ma che sia frutto di un impegno e di un investimento, in comunicazione in genere e nella costruzione di media partnership di qualità. Comune è anche la difficoltà di includere nella programmazione della Capitale interventi strutturali. I 12 mesi in cui una città è Capitale (recentemente – in particolare per effetto della pandemia – abbiamo assistito ad aperture ufficiali ritardate rispetto all’anno solare, con una conseguente riduzione del tempo disponibile anche di qualche mese) permette solo di avviare o di concludere lavori come restauri o riallestimenti di contenitori storici da adibire ad attività culturali, per realizzare i quali del resto la disponibilità finanziaria non sarebbe sufficiente. Anche per questo è chiaro che gli effetti della policy debbano essere prioritariamente cercati e rilevati nell’ambito delle attività culturali, nonostante il fatto che la stessa possa essere parte integrante di una strategia più ampia di sviluppo della città a base culturale, che può in quel caso comprendere anche interventi strutturali. È forse una questione di tempi di attuazione, ma anche di efficacia degli strumenti, la capacità di Capitale italiana della cultura di dare impulso all’imprenditoria culturale e creativa del territorio. Anche questo è un obiettivo che riceve grande attenzione nei dossier (in particolare nel progetto di Parma), ma rappresenta un ambito complesso di intervento su cui (al netto dell’unicum rappresentato da Ravenna e in prospettiva da Parma, qualora confermasse nei prossimi anni i buoni esiti sin qui intravisti) non ci sono casistiche di successo con uno storico tale da assicurarne l’efficacia. Di assoluto rilievo, nonché uno degli ambiti in cui il programma sembra dimostrare la sua maggiore incisività è quello della governance. Il lavoro di indagine ha rilevato una correlazione interessante fra la vivacità culturale e la creazione di nuove forme di governance (come si evince nel terzo capitolo), come se la complessità della gestione del palinsesto spingesse ad accelerare processi probabilmente in nuce già presenti nella comunità che propone la candidatura. La collezione delle esperienze delle città insignite dal titolo su questo tema merita un approfondimento critico perché la costruzione di una rete intorno all’Amministrazione proponente e la volontà di stabilizzare questa rete tramite forme più o meno complesse di partnership è un tema affrontato da tutte le Capitali e un ambito sul quale l’investimento è più costante. Anche in questo l’esperienza di Capitale italiana della cultura è un utile campo di osservazione di quanto accade a scala nazionale nel panorama del sistema culturale: la gestione della vita culturale delle città, a volte coniugata con la gestione di specifici eventi o di luoghi della cultura, sembra richiedere forze che non possono essere limitate alla sola Amministrazione. La richiesta di un apporto da altri enti pubblici (in particolare la Regione, ma non solo), di soggetti del Terzo settore (in particolare le Fondazioni di origine bancaria) o di imprese travalica, qui, la semplice sponsorizzazione; da richieste maggiori nasce però la necessità di attivare modelli di gestione e organizzazione più complessi. La necessità di creare forme di compartecipazione per

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExODM2NQ==