Capitale italiana della cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti.

Il lavoro di ricerca che ha condotto alla stesura di questo volume nasce con un duplice obiettivo: proporre una prima analisi di una policy avviata ormai da anni e giunta a consolidamento; elaborare e sperimentare un modello di analisi utile alle future edizioni e, più in generale, allo studio di iniziative culturali complesse. Capitale italiana della cultura. Dal 2015 al 2022: dati, esperienze, cambiamenti è il primo tentativo di effettuare una ricognizione ed un bilancio sistematici di Capitale italiana della cultura, un’iniziativa nazionale di matrice europea nata dalla convinzione che quella culturale possa essere una importante leva di trasformazione della società e dal proposito, contingente alla prima edizione, di non disperdere il valore del lavoro di progettazione sostenuto dalle candidate italiane all’edizione 2019 della Capitale europea della cultura. Nata da queste premesse, la competizione è transitata negli anni per alterne vicende: dalla compresenza di più città contestualmente insignite del titolo (come nel caso della prima edizione nel 2015, dove le diverse proposte erano frutto di un riadattamento dei più articolati dossier europei e le città, pur muovendosi temporalmente in parallelo, non avevano alcun legame progettuale fra loro), al confronto con i limiti imposti dalla pandemia (Parma 2020+21), passando per la convivenza con importanti iniziative di livello europeo (Palermo 2018 con Manifesta, ospitata in città nello stesso anno). Oltre alle peculiarità dei contesti con cui ha dovuto confrontarsi, la policy ha sperimentato anche, come ben emerge dalle analisi preliminari proposte in questo lavoro, l’evoluzione della sensibilità del suo ideatore, il Ministero della cultura, che negli anni ha rivisto e rimodulato obiettivi e criteri di selezione dei bandi, ora più ricettivi verso certi elementi (la dimensione europea, ad esempio, nella prima edizione), ora verso altri (la sostenibilità ambientale e gli obiettivi dell’Agenda 2030 nei più recenti). Tutto questo introduce ad alcuni fra i più importanti limiti, o quanto meno caveat, della ricerca. Innanzitutto quelli connessi alla complessità della policy analizzata: l’evoluzione nel tempo di obiettivi e criteri di selezione (che, oltre a render più difficile il confronto fra edizioni, modifica l’azione di indirizzo degli sforzi di progettazione delle candidate), il ricorso a procedure di selezione eterogenee (tramite prolungamento del titolo, come nel caso di Parma 2020+21, o per decreto, prendendo un esempio successivo alle edizioni indagate in questo lavoro, come nel caso di Bergamo-Brescia 2023), l’inserimento all’interno di contesti territoriali diversi (anche estremamente) l’uno dall’altro, lo scarto spesso sperimentato fra il dossier presentato e quanto effettivamente realizzato nel palinsesto, la molteplicità dei modelli di intervento proposti (che, pur rivelando alcune ricorrenze negli approcci, come emerge nell’ultimo capitolo del volume, si basano tutti su risorse di contesto e scelte strategiche differenti), il diverso stadio di consolidamento e richiamo che la politica ha sperimentato lungo le differenti edizioni, la diversa memoria, infine, che l’iniziativa ha mantenuto nelle città insignite. Su quest’ultimo punto in particolare, vale la pena rimarcare che durante l’indagine, basata in larga misura sulla raccolta di testimonianze (come descritto nel primo capitolo), Note conclusive 257 Note conclusive

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