Cantiere Città. Letture e strumenti per la città culturale.

2023 Scuola dei beni e delle attività culturali Via del Collegio Romano 27 - 00186 Roma Edizione cartacea ISBN 979-12-80311-14-6 Edizione digitale ISBN 979-12-80311-15-3 DOI 10.53125/979-12-80311-15-3 www.fondazionescuolapatrimonio.it Licenza L’edizione digitale del volume è pubblicata con licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0: https://creativecommons.org/ licenses/by-sa/4.0/legalcode). La licenza consente di condividere i contenuti con qualsiasi mezzo e formato, di modificare i contenuti per qualsiasi fine, anche commerciale, purché sia inserita una menzione di paternità adeguata, sia fornito un link alla licenza, sia indicato se sono state effettuate delle modifiche e i materiali modificati siano distribuiti con la stessa licenza dei contenuti originari.

Cantiere Città Letture e strumenti per la città culturale A cura di Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali

RINGRAZIAMENTI Ministero della cultura - Segretariato generale, Servizio VI - Eventi, mostre e manifestazioni VOLUME A cura di Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali Coordinamento editoriale Francesca Neri (responsabile) Roberta Fedele Silvia Giordano Agnieszka Śmigiel Revisione editoriale Chiara Braidotti Progetto grafico e impaginazione Milk Soup

Indice Note di apertura Prefazione Alessandra Vittorini Introduzione Marcello Minuti Cantiere Città, l’esperienza di un percorso di accompagnamento per le dieci finaliste a Capitale italiana della cultura 2024 Silvia Giordano e Agnieszka Śmigiel Modelli e strumenti di governance per strategie e azioni culturali La governance tra ambito pubblico e privato per l’attuazione delle policy territoriali a base culturale Francesca Velani Riflessioni sui possibili modelli organizzativi per le città culturali Stefano Consiglio I modelli di governance per la valorizzazione del patrimonio culturale Federico Caporale Processi collaborativi di progettazione per la rigenerazione urbana: visioni, strumenti e ispirazioni Laura Caruso 7 8 10 12 17 19 25 32 42

Cultura e cambiamento climatico Città sostenibili, strumenti e politiche per affrontare il cambiamento climatico Paola Dubini Cambiamenti climatici e patrimonio culturale: strumenti e strategie di tutela e prevenzione Alessandra Bonazza Pratiche di rete per progetti culturali sostenibili Progetti, territori, comunità: il difficile rapporto con la complessità Damiano Aliprandi Le città tra cultura di prossimità e cultura divergente Bertram Maria Niessen La cultura come infrastruttura progettuale della città Tommaso Sorichetti Il fundraising per lo sviluppo locale a base culturale Massimo Coen Cagli Strumenti per l’ideazione di azioni di fundraising Massimo Coen Cagli Note conclusive Conclusione Francesca Neri 49 51 57 63 65 72 75 82 88 99 101

9 Note di apertura

8 D’una città non godi le sette o le settantasette meraviglie, ma la risposta che dà a una tua domanda. O la domanda che ti pone obbligandoti a rispondere… I. Calvino, Le città invisibili Avviata nel 2015, l’iniziativa Capitale italiana della cultura è nel tempo progressivamente cresciuta, raccogliendo candidature sempre più numerose, articolate e complete, che hanno rivelato una crescente vitalità delle città italiane, piccole e grandi, nel provare a ridisegnarsi in un’ottica di sviluppo locale su base culturale. A partire da queste considerazioni il Ministero della cultura (attraverso il Segretariato generale, Servizio VI - Eventi, mostre e manifestazioni, che ringrazio nella persona della dott.ssa Francesca Saccone per la fattiva collaborazione) e la Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali hanno definito un programma volto a valorizzare lo sforzo progettuale di tutte le città finaliste, cercando di dare un futuro alle proposte elaborate e offrendo loro inedite opportunità. Un percorso costruito su una combinazione di capacity building e di accompagnamento specifico per sollecitare ogni città a rimettere in gioco i suoi progetti, a riattivare i partneriati, a rimodulare le sue proposte. E per trasformare anche le ‘sconfitte’ in nuove sfide. Prefazione

9 Il programma è stato avviato nel maggio 2022 quando, tra le dieci città finaliste, era già stata annunciata Pesaro come Capitale italiana della cultura 2024: dunque, oltre a Pesaro, includeva Ascoli Piceno, Chioggia (VE), Grosseto, Mesagne (BR), Sestri Levante con il Tigullio (GE), Siracusa, l’Unione dei Comuni Paestum-Alto Cilento (SA), Viareggio (LU) e Vicenza. Con loro è nato Cantiere Città, un nome che sintetizza efficacemente i concetti principali del programma: città che si rimettono in gioco partendo dalle loro proposte culturali, che aprono un ‘cantiere di idee’ e che ripensano i loro luoghi, fisici e ideali, rimodulando i progetti della loro candidatura. Un ripensamento profondo che obbliga a operare in una nuova prospettiva, più selettiva e mirata, ma certamente calibrata su un’effettiva fattibilità. Evocano il cantiere anche le particolari modalità di lavoro scelte: una condivisione costante e collettiva che ha messo insieme tutte le realtà, in una continua e serrata sequenza di ‘lavori in corso’ variamente articolati: workshop, masterclass e confronti mirati con esperti in cui porsi insieme le domande, affrontare i nodi critici comuni, condividere le possibili soluzioni, provare ad articolare le migliori e più efficaci risposte. Un modello in cui coloro che per mesi si sono sfidati da competitor entrano in una nuova dimensione collaborativa per dare un ruolo di rilievo ai progetti culturali nelle proprie strategie di sviluppo. Al termine della prima edizione di Cantiere Città abbiamo voluto raccogliere i contributi degli esperti che hanno supportato l’intero percorso: riflessioni nate in risposta a sollecitazioni che, seppur legate a diversi punti di vista, orientamenti e contesti, hanno tutte affrontato gli stessi nodi tematici. Questa raccolta si offre oggi anche a una platea più ampia, confidando sulla possibilità di intercettare gli interessi e i fabbisogni dei tanti soggetti – amministratori, singoli professionisti e realtà associate – che quotidianamente operano nei progetti di sviluppo culturale nelle città. Alessandra Vittorini Direttore, Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali

10 Marcello Minuti Coordinatore generale, Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali Da tempo si discute di cultura e sviluppo, di come le risorse culturali possano diventare motore di processi di crescita economica e sociale. È questo il senso profondo dell’iniziativa legata al titolo di Città capitale della cultura, a livello europeo e italiano: immaginare una rinascita delle economie locali in cui la cultura possa giocare un ruolo determinante. Elemento di coesione civile, di identità e cittadinanza, di servizio per i cittadini, motivo per ‘rimanere’, occasione per creare impresa o ambito nel quale mettere a frutto le proprie competenze professionali. Un obiettivo a cui hanno puntato tutte le città che negli anni si sono cimentate con la competizione per ottenere il titolo, lavorando per la costruzione dei dossier di candidatura. Dossier che sono spesso frutto di una progettazione sofisticata e che penso abbiano avuto soprattutto un merito fondamentale: aver messo in moto idee, visioni, energie creative, relazioni e riflessioni per la costruzione delle strategie di sviluppo a base culturale. In sintesi, tutti gli ingredienti fondamentali per fare vera innovazione a livello locale. Cantiere Città prova a riportare al centro del tavolo queste energie, cercando di dare forza ai progetti e alle strategie previsti nei dossier. In fondo, uno dei risultati a cui l’iniziativaCapitale italiana della cultura ha portato – uno dei più importanti, a mio parere – è proprio aver attivato in città grandi, piccole o piccolissime un processo cognitivo ancora prima che progettuale: quello cioè di interrogarsi su quale ruolo può giocare la cultura in nuovi modelli di sviluppo. Un risultato centrato, pensando ai 125 dossier1 consegnati dalle città candidate. Un risultato che abbiamo voluto valorizzare e arricchire con un progetto, quello di Cantiere Città, che raccontiamo in questo volume. Introduzione Promo PA Fondazione conta 125 dossier presentati nelle edizioni 2016-17, 2018, 2020-21, 2022 e 2024 dai Comuni singoli e/o aggregati in risposta all’iniziativa del Ministero della cultura. Dal conteggio vengono escluse la Capitale europea della cultura 2019 (Matera) e le Capitali italiane della cultura 2015 e 2023 in quanto nominate direttamente dal Ministro della cultura. 1.

12 Cantiere Città, l’esperienza di un percorso di accompagnamento per le dieci finaliste a Capitale italiana della cultura 2024 Silvia Giordano e Agnieszka Śmigiel Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali Il programma Capitale italiana della cultura, ideato dal Ministero della cultura nel 2014 a partire dal modello europeo, ha registrato un progressivo miglioramento della qualità progettuale dei programmi culturali presentati dalle finaliste in fase di candidatura. Se, da una parte, le città insignite del titolo negli ultimi otto anni hanno potuto beneficiare di visibilità e finanziamenti per la realizzazione dei loro dossier, dall’altra, per quelle giunte alla fase finale della selezione senza ottenere il riconoscimento, è forte il rischio di dispersione delle forze coinvolte e delle progettualità confluite nei programmi presentati alle audizioni. Rischio amplificato dal venir meno della spinta civica che spesso accompagna l’iter di candidatura generando aspettative deluse dalla mancata vittoria e dalla possibilità di un’alternanza della compagine politica, che può scegliere di non proseguire con il percorso avviato. A generare una sensazione di smarrimento e di impotenza rispetto allo sviluppo, anche solo parziale, degli obiettivi confluiti nei dossier si somma la gravosità degli impegni di ordinaria amministrazione per i dipendenti dei Comuni, che possono essere tentati di accantonare il programma, soprattutto nei casi in cui le città si siano avvalse di soggetti terzi nel periodo di progettazione. Di fronte a questo scenario nasce l’idea del Ministero della cultura sviluppata insieme alla Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali di attivare un percorso a supporto delle capacità progettuali delle città finaliste, con lo scopo di offrire loro un sostegno nell’individuazione di soluzioni sostenibili per il rafforzamento di reti territoriali guidate da obiettivi culturali, nate o prospettate in occasione della candidatura. In questo percorso ci siamo fatti guidare dalla metafora del cantiere: ci sembrava importante creare un contesto temporaneo di costruzione, un ambiente collaborativo dove far convergere le forze per sviluppare qualcosa di nuovo e in cui migliorare l’esistente. Un luogo di lavoro che prende vita dalle mani di chi lo costruisce, che avanza solo attraverso la costante partecipazione di tutti e la sensibilizzazione anche di chi quel cantiere lo frequenta in maniera diversa, passandoci di fronte tutte le mattine, controllando l’andamento dei lavori, gioendo della prima trave posata, pronto a immaginare quale sarà l’impatto di quella nuova costruzione sulla propria quotidianità.

13 Di fatto, la parola ‘cantiere’ ha mantenuto a lungo anche il significato di ‘trave di sostegno’, un’immagine che, a nostro avviso, trasmette bene il ruolo della Fondazione Scuola dei beni e delle attività culturali all’interno di questo percorso sperimentale che ha preso il nome di Cantiere Città. In questo accompagnamento della durata di otto mesi, il sostegno si è concretizzato in due masterclass in presenza (una al principio e una a chiusura del percorso), quattro masterclass tematiche nate da un primo confronto con le necessità delle città finaliste a Capitale italiana della cultura 2024 e tre workshop individuali, di cui uno in presenza, con focus sulle singole progettualità di ciascun Comune. Tra le parole chiave emerse fin dai primi scambi con le città, una ci ha interessato in prima persona e messo alla prova direttamente sul campo: la co-progettazione. Cantiere Città nasce come progetto pilota e la definizione della sua fase attuativa è stata plasmata insieme ai soggetti coinvolti: ogni città ed esperto ha partecipato attivamente alla definizione dei contenuti del percorso fin dalla prima masterclass a Roma, indirizzando quello che sarebbe diventato un cammino personalizzato fatto di tematiche condivise, ma soprattutto uno specchio attuale delle problematiche ricorrenti che le amministrazioni si trovano oggi ad affrontare progettando cultura. Siamo voluti partire proprio dall’ascolto di esigenze e fabbisogni delle città impostando un percorso aperto ma fondato su alcuni principi cardine che ci hanno guidato nel cammino: la centralità delle persone, il focus sulle modalità di collaborazione, l’ascolto reciproco e la condivisione di competenze per la creazione di un’intelligenza collettiva. Il progetto, nella sua forma laboratoriale, ha cercato così di accrescere la consapevolezza generale sull’importanza strategica della creazione di ‘alleanze territoriali’, spostando l’attenzione dal grande contenitore progettuale rappresentato dal dossier, alla selezione di singoli obiettivi operativi con cui misurarsi attraverso azioni direttamente sul campo. Partire dall’individuazione di obiettivi condivisi reali e raggiungibili in un arco temporale contenuto ha rappresentato una delle piccole grandi sfide di questo percorso, colta con entusiasmo dai Comuni di Ascoli Piceno, Chioggia (VE), Grosseto, Mesagne (BR), Pesaro, Sestri Levante con il Tigullio (GE), Siracusa, Vicenza e dall’Unione dei Comuni Paestum-Alto Cilento (SA), che hanno aderito alla prima edizione di Cantiere Città. Nove realtà di medie e piccole dimensioni, profondamente diverse per territorio, posizione e tessuto economico, accomunate da alcune domande ricorrenti: quali possibilità esistono per la formalizzazione di una governance che porti avanti il percorso instradato con il dossier e che tipo di valutazione introdurre per scegliere la migliore strada da percorrere? Come guardare alla cultura in maniera olistica e con occhio attento alle grandi sfide che si trova oggi ad affrontare l’umanità, come il cambiamento climatico? Come mantenere vivi l’attenzione e il coinvolgimento delle comunità e del terzo settore nella partecipazione alla città culturale e favorire l’innesco di approcci creativi e partecipati alla progettazione? Come sopperire al mancato contributo da parte del Ministero della cultura e individuare delle fonti di finanziamento pubbliche o private alternative che rendano i piani culturali sostenibili?

14 Da queste domande nascono gli argomenti affrontati nelle masterclass e nei tavoli di lavoro proposti alle città, incontri a cura di un team di esperti selezionati dalla Fondazione di cui questo volume raccoglie i contributi. Consapevoli della distanza che spesso intercorre tra le riflessioni e i dibattiti intorno ai temi di politica e progettazione culturale e la concretezza delle effettive azioni sul territorio, abbiamo voluto confezionare una raccolta che desse degli spunti di riflessione e analisi critica, ma che potesse anche fornire ‘attrezzi’ utili alla ‘costruzione culturale’. Così, questa pubblicazione vuole offrire una serie di indicazioni di taglio operativo sulla progettazione di strategie e di interventi che valorizzino il territorio facendo leva sulla collaborazione tra una pluralità di soggetti – enti pubblici, imprese sociali, volontariato, associazionismo – impegnati nel perseguimento di uno scopo condiviso o nella realizzazione di uno specifico intervento culturale. La raccolta intende quindi rivolgersi non solo alle città che hanno partecipato o che intendono competere in futuro al titolo di Capitale della cultura, ma anche a progettisti, professionisti, studiosi o comuni cittadini che abbiano a cuore il futuro culturale del proprio territorio. Nella prima sezione sono raccolti i contributi che offrono una panoramica su modelli e strumenti di governance: si tratta di un tema complesso, fortemente dibattuto alla luce della diversità delle progettazioni culturali in gioco, talmente presente da oscurare talvolta gli obiettivi che stanno alla base della necessità di formalizzare la gestione. Partendo dall’esperienza di Parma Capitale, il contributo di Francesca Velani analizza il fenomeno dal punto di vista strategico e strumentale, descrivendo la struttura e le scelte che hanno portato alla costruzione del modello di gestione pubblico-privato di cui la città si è avvalsa dopo la vittoria del titolo. Il suo intervento ci ricorda che non esiste una ricetta valida per tutti, molteplici sono i fattori e i criteri da tenere in considerazione non solo nell’individuazione della forma di governance più adatta, ma anche nel valutare se i tempi siano maturi a sufficienza per immaginarne una formalizzazione. L’intervento di Stefano Consiglio prova a chiarire questi aspetti, offrendo spunti di orientamento nella scelta operativa tra gestione o affidamento diretto e creazione di partenariati istituzionali; a seguire, Federico Caporale fornisce una panoramica delle forme giuridiche adottabili per l’intervento pubblico nel settore culturale, approfondendo gli obblighi e i vincoli che ciascuna scelta implica per i soggetti coinvolti. Laura Caruso parte invece dalla sua esperienza con il progetto CasermArcheologica per condividere alcuni strumenti utili nello sviluppo di partnership tra amministrazioni pubbliche ed enti del terzo settore, ponendo l’accento sulla ‘sartorialità’ degli accordi che disciplinano queste collaborazioni e sull’importanza delle reti di professionalità di settore, per la comprensione delle politiche complesse che riguardano le città. Città che riflettono sugli approcci alla gestione culturale, chiamate oggi più che mai a rispondere con lungimiranza e senso di responsabilità alle sfide dello scenario globale. Un tema approfondito nella seconda sezione attraverso la condivisione di pratiche, modelli e strumenti utili per uno sviluppo equilibrato e sostenibile delle realtà che si

15 misurano con le problematiche climatiche. Nei loro contributi, Alessandra Bonazza e Paola Dubini cercano di innescare un dialogo tra progettazione culturale e sensibilità alle tematiche ambientali, con lo scopo di coniugare accoglienza, attrattività e sostenibilità nella programmazione urbana. Alessandra Bonazza ci mostra come, nonostante negli ultimi anni sia aumentata la consapevolezza del rischio sul patrimonio costruito a causa degli effetti del cambiamento climatico, non siano ancora presenti misure e strategie esaustive e dedicate nei piani nazionali e internazionali di adattamento e mitigazione. La sua analisi dimostra quanto sia urgente investire nella produzione di strumenti utili a migliorare la resilienza dell’eredità culturale in risposta agli eventi estremi legati al clima. Il contributo di Paola Dubini è incentrato invece sugli strumenti e sulle politiche che le città hanno a disposizione nella ricerca della sostenibilità ambientale e prova a rispondere a due domande: come possiamo considerare la relazione fra cultura e ambiente in una prospettiva di sviluppo sostenibile all’interno di un dossier di candidatura a Capitale italiana della cultura? In che modo la dimensione culturale e la dimensione ambientale possono essere considerate insieme per creare un valore condiviso e durevole per la città? La terza e ultima sezione continua a interrogarsi sulla sostenibilità della città e lo fa esplorando un tema ampio e ricorrente, che attiene alla dimensione di coinvolgimento della cittadinanza e alla capacità di creare reti di portatori d’interesse che contribuiscano a disegnare le città culturali insieme alle amministrazioni. La sezione si apre con l’intervento di Damiano Aliprandi, che evidenzia il problema della complessità di costruire progetti ‘a prova di territorio’, utilizzando la metafora di una matassa di fili che solo da vicino mostrano tutti i loro grovigli. Progettare con la comunità per il territorio diventa, ai suoi occhi, una vera e propria pratica collettiva di ricerca di nuovi equilibri, fatta di nodi che si sciolgono e si riformano e di fili da tirare insieme. I partecipanti modificano il loro modo di pensare, si rendono capaci di generare delle soluzioni a situazioni inaspettate e rimodulano costantemente la loro visione in un gioco dove tutti sono protagonisti di un momento di creazione collettiva. Bertram Niessen ricolloca questa metafora ludica nella realtà delle politiche culturali urbane auspicando che diventino delle vere e proprie piattaforme di cittadinanza; spazi in cui cultura di prossimità e cultura divergente siano in dialogo costante, grazie a un ripensamento del rapporto tra progettazione e curatela, a una concezione integrata di sostenibilità territoriale, al superamento dei rapporti di subordinazione tra culture e al ripensamento delle categorie di consumi culturali. Il contributo di Tommaso Sorichetti approfondisce proprio la necessità da parte delle città di affrontare la progettazione culturale superando le dicotomie, in un’ottica sinergica e transdisciplinare. Partendo dai precetti del New European Bauhaus, nel suo saggio ci illustra alcune buone pratiche di sperimentazione di ecosistemi progettuali ibridi e sottolinea l’importanza della convergenza dei saperi e delle pratiche di cross-fertilisation per le politiche pubbliche. Da sostenibilità ambientale a sostenibilità sociale per concludere con la sostenibilità economica. Nell’ultimo

16 saggio Massimo Coen Cagli presenta il fundraising quale strumento per elaborare, pianificare e garantire la sostenibilità dei progetti culturali in una logica strategica di medio-lungo periodo. L’intervento offre delle indicazioni di taglio fortemente operativo ed è corredato da linee guida in forma di manuale. Scriveva l’architetto e urbanista Giovanni Michelucci che i suoi insegnamenti erano alimentati dal «desiderio di scoprire sé stessi e le proprie capacità attraverso lo studio di quelle degli altri»1. Forse è proprio questo il valore finale della facilitazione del confronto tra le città che speriamo prosegua al di là di Cantiere Città e attraverso questo volume, offrendo nuove occasioni di crescita e animando il futuro dei percorsi che abbiamo incontrato all’interno di questo ‘cantiere’. G. Michelucci, Non sono un maestro, Carpena Editore, Sarzana 1976, p. 44. 1.

17 Modelli e strumenti di governance per strategie e azioni culturali

18

19 La governance tra ambito pubblico e privato per l’attuazione delle policy territoriali a base culturale Francesca Velani Promo PA Fondazione Il programma Capitale italiana della cultura è stato istituito con il d.l. n. 83/2014 successivamente convertito in legge. Nasce in analogia con la visione promossa dall’Unione europea attraverso Capitale europea della cultura e si pone l’obiettivo di «sostenere, incoraggiare e valorizzare la autonoma capacità progettuale e attuativa delle città italiane nel campo della cultura, affinché venga recepito in maniera sempre più diffusa il valore della leva culturale per la coesione sociale, l’integrazione senza conflitti, la conservazione delle identità, la creatività, l’innovazione, la crescita e infine lo sviluppo economico e il benessere individuale e collettivo»1. 1. Bando per il conferimento del titolo di «Capitale italiana della cultura» per l’anno 2021, art. 2. Fino ad oggi hanno raccolto la sfida di Capitale ben 115 realtà (anche aggregate e/o candidandosi più di una volta), da cui sono emersi 125 dossier. Proprio la partecipazione e la visione collettiva alla base delle proposte sono state riconosciute come il vero risultato di questa policy pubblica, poiché hanno teso a generare programmi di sviluppo 2024 28 2022 44 2020-2021 31 2016-2017 24 2018 21 Città candidate a Capitale italiana della cultura negli anni

20 territoriale a base culturale la cui impostazione, anno dopo anno, sta evidenziando una crescente capacità delle città partecipanti di allinearsi a visioni di crescita fortemente sistemica per compagine, ampiezza territoriale e intersettorialità. Il percorso oggi rappresenta certamente uno strumento privilegiato per la realizzazione di principi e missioni enunciati nella Nuova agenda europea per la cultura, in quella per lo sviluppo sostenibile dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), ancora nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), così come nella cosiddetta Carta di Roma2, che afferma «il ruolo trasformativo della cultura nello sviluppo sostenibile» per supportare le comunità nell’affrontare le pressioni e i bisogni economici, sociali ed ecologici. Ed è proprio la Carta di Roma a chiedere «il pieno riconoscimento e l’integrazione della cultura e dell’economia creativa nei processi e nelle politiche di sviluppo, coinvolgendo tutti i livelli della società, comprese le comunità locali, come un motore e un facilitatore per il raggiungimento degli Obiettivi stabiliti nell’Agenda 2030», ovvero il suo inserimento nelle agende governative internazionali come elemento trasversale e nutrimento dello sviluppo pieno e sostenibile di individui e comunità. Da policy a progetti strategici di sviluppo territoriale a base culturale Ebbene, il programma Capitale italiana della cultura può essere letto come una risposta ante litteram alle istanze sopra citate: il bando è lo strumento per indirizzare i soggetti coinvolti verso l’adozione di strumenti per il miglioramento dell’offerta culturale, la crescita dell’inclusione sociale e il superamento del cultural divide; l’utilizzo delle nuove tecnologie e la promozione dell’innovazione e dell’imprenditorialità nei settori culturali e creativi; l’incremento dell’attrattività turistica; la sostenibilità sociale e ambientale3. Inoltre, si tratta di un mezzo per promuovere la riflessione sulla governance e sulla valutazione dell’impatto delle proposte – chiedendone specifiche strategiche e tecniche già in fase di scrittura del dossier –, così come sulla comunicazione e sull’accessibilità. Per vincere il titolo e ottenere il finanziamento da un milione di euro i progetti devono soddisfare una serie di requisiti che sono il precipitato della visione già menzionata, ovvero porre la cultura alla base dello sviluppo sostenibile, investendo in processi innovativi e strumenti per l’accessibilità e l’inclusione, connettendo mondi in modo inaspettato e sperimentale, promuovendo il turismo consapevole, ecc. La Dichiarazione di Roma dei Ministri della Cultura G20, sottoscritta a Roma nell’ambito del G20 Cultura che si è svolto il 29 e 30 luglio 2021. Le due citazioni che seguono sono tratte da questo documento. Il parametro di valutazione sulla sostenibilità è stato introdotto grazie a un confronto approfondito avvenuto nell’ambito di LuBeC durante uno degli incontri con la Rete delle Città della Cultura, realtà a cui aderiscono le città che si candidano creata da Promo PA in accordo con il Ministero della cultura nel 2016 per non disperdere le progettualità dei dossier. 2. 3.

21 M. Guerra et al., La Cultura batte il tempo: Il progetto Parma Capitale Italiana della Cultura 2020+21, Electa, Milano 2022. 4. Le città, dunque, nel costruire la propria proposta si indirizzano verso quella visione e diventano protagoniste di un percorso di pensiero e definizione di politiche culturali per il patrimonio la cui strada è segnata dal bando. Governance per le città della cultura: unmodello pubblico-privato da Parma 2020+21 Capitale italiana della cultura si distingue quindi per dare vita a un’importante partecipazione sinergica sia in termini di risorse umane sia economiche e, nel suo svolgersi anno dopo anno, ha visto le città vincitrici portare a termine programmi sempre più complessi con investimenti sempre più importanti e trasversali. Il programma ha dunque reso evidente quanto sia determinante riflettere sul rinnovamento della governance della cultura sia dal punto di vista strategico, nel senso di una condivisione più ampia tra le parti del sistema pubblico-pubblico e pubblico-privato coinvolto, sia strumentale, invitando a riflettere e proporre modelli gestionali capaci di supportare dal punto di vista gestionale e amministrativo il rinnovamento proposto nei vari progetti/dossier. Rimandando al contributo di Federico Caporale in questo stesso volume per una valutazione più completa della casistica sul tema, approfondisco invece in questa sede il modello che la città di Parma ha costruito per il suo percorso. Per capire la scelta della governance è necessario prima di tutto dare evidenza ai punti cardine del programma di Parma 2020+21: La Cultura batte il tempo4. Si tratta di un piano strategico di sviluppo territoriale a base culturale, pensato e scritto raccogliendo stimoli provenienti dalle istituzioni culturali e dal sistema imprenditoriale e individuando un percorso di confronto e sperimentazione pubblico-privata dedicato a valorizzazione, potenziamento e stabilizzazione del sistema dell’industria culturale e creativa, sia nelle sue forme più accreditate e tradizionali, sia in quelle più emergenti e sperimentali. Il programma è funzionale al raggiungimento di obiettivi che hanno come cardine il dialogo e la collaborazione pubblico-privata e tra il mondo della cultura e gli altri ambiti tematici (turistico, socio-sanitario, relativo all’ambiente) e produttivi, con l’industria in prima linea. Lo scopo è formalizzare e rendere stabile una piattaforma collaborativa tra pubblico e privato volta alla produzione culturale, all’ampliamento e all’inclusione dei pubblici, all’innalzamento dei consumi culturali tra i giovani; a promuovere l’industria culturale e creativa e rendere accessibile il sistema turistico-culturale attraverso servizi e strumenti tecnologici che mettano a sistema la valorizzazione delle risorse; in definitiva, a rendere Parma un luogo di riflessione e confronto stabile sul binomio cultura e

22 democrazia, sui valori civici e costituzionali che sottendono allo sviluppo di una comunità aperta e inclusiva, innovativa nelle sue dinamiche sociali. Dal punto di vista gestionale può essere considerato come un sistema di progetti, alcuni dei quali forniscono output finalizzati a esaurirsi nell’anno di capitale, mentre altri – progetto pilota e strumenti – sono rivolti alla creazione di infrastrutture immateriali e materiali che generano benefici duraturi (il city branding, l’hub della comunicazione, il portale, il sistema degli itinerari, le azioni del progetto pilota, ecc.). La realizzazione progressiva degli output di progetto e congiuntamente il cambiamento attuato nei modelli di imprenditorialità adottati, permettono di contribuire progressivamente al raggiungimento degli obiettivi strategici di Parma 2020+21, secondo la logica espressa nel grafico qui riprodotto, che rappresenta il collegamento tra visione, programma e progetti. Per volontà dell’amministrazione comunale la struttura di coordinamento doveva essere di tipo dedicato, ferma restando la responsabilità dei soggetti competenti per i singoli progetti. Dunque, i punti da cui partire per definire i possibili scenari di governance per Parma 2020 sono quelli di un programma che: • si sviluppa con gli indirizzi e la direzione tecnica della pubblica amministrazione; • prevede una sinergia collaborativa tra pubblico e privato; • prevede finanziamenti pubblici e privati. Obiettivi Strategici Risultati Eventi, Mostre... Business Change VISION PROGETTI DI TERZI STRUMENTI POLITICHE COMUNE DI PARMA TERZI & COMUNE DI PARMA Programma Parma 2020 BENEFICI PROGETTI PROPRI

23 Sono state prese quindi in considerazione tre ipotesi gestionali, elencate a seguire, in cui la discriminante considerata è il grado di coinvolgimento che si intende riservare al soggetto privato. • Gestione pubblica: l’amministrazione pubblica mantiene l’unità operativa (di seguito business unit) all’interno della propria organizzazione, definendone la dotazione organica e individuando conseguentemente le risorse umane dedicate, attingendole dal personale interno. In mancanza di professionalità interne disponibili la dotazione organica potrà essere integrata con incarichi esterni affidati secondo le procedure di legge. Il privato sostiene il programma attraverso erogazioni economiche sotto forma di sponsorizzazioni e contributi in risorse umane e materiali. • Gestione esternalizzata: l’amministrazione emana un bando per la gestione operativa del Programma Parma 2020, che preveda la costituzione della business unit secondo dotazione organica e competenze predeterminate, nonché l’assunzione del Direttore tecnico-operativo di Parma 2020 (dirigente cultura), con un incarico di coordinamento. Il soggetto privato vincitore del bando gestirà la messa in atto del programma e dialogherà con il Comune secondo quanto stabilito dal capitolato di gara. • Gestione complementare: l’amministrazione opera come nel primo caso e inoltre aderisce a una Newco pubblico-privata, un nuovo soggetto giuridicamente costituito a prevalente partecipazione privata e capitale completamente privato. Obiettivo della Newco è raccogliere fondi privati per i progetti che non sono finanziati dall’amministrazione stessa. La Newco attuerà i propri obiettivi tramite una convenzione con l’amministrazione, dando l’incarico per il coordinamento, per la comunicazione e per la segreteria generale del programma ad un team dedicato. Il Comune di Parma ha individuato nella terza opzione quella da attuare e, insieme all’associazione Parma, io ci sto! e all’Unione Parmense degli industriali (UPI), ha costituito un comitato denominato Comitato per Parma 2020, con capitale misto, prevalentemente privato. Il Comitato, costituito l’11 ottobre 2018, non ha fini di lucro e ha lo scopo istituzionale di sostenere il raggiungimento degli obiettivi e l’attuazione del dossier di candidatura della città a Capitale italiana della cultura. La messa in opera del programma è affidata all’Assessorato alla Cultura, che collabora e interagisce con il Comitato per Parma 2020, con gli altri settori – dal turismo all’ambiente, dalla mobilità al sociale –, con le istituzioni del territorio e il sistema privato oltre i confini della città, fino a promuovere e raccogliere l’energia dell’intera Emilia. Dalla data della sua fondazione altre realtà sono scese in campo e si sono unite ai soci fondatori promotori con l’obiettivo di sostenere il processo in atto di valorizzazione di luoghi, potenzialità e aspirazioni del territorio, supportando lo sviluppo del sistema culturale come strumento di crescita della comunità e di inclusione sociale. A seconda delle modalità di adesione al Comitato esistono tre principali categorie di

24 soci, in aggiunta ai soci fondatori promotori: i soci fondatori, i soci sostenitori e i soci ordinari. Ognuno di essi, come meglio approfondito nei paragrafi successivi, è rappresentato nel Consiglio Direttivo del Comitato. In seno al Comitato è stata costituita un’unità operativa con il compito di coordinare e monitorare i progetti di Parma 2020+21, unità che ha lavorato in sinergia con il team del Comune dedicato allamessa in opera del programma avvalendosi di aziende o figure professionali esperte in materia di project management pubblico-privato, comunicazione, fundraising e gestione sponsor, ecc. Tale unità operativa ha compreso sia personale incaricato appositamente, sia personale reso disponibile dai membri del Comitato stesso. Con riferimento alle attività istituzionali il Comitato per Parma 2020 ha provveduto a reperire, avvalendosi del contributo dei propri membri e di quello di ogni altro ente o persona interessata all’iniziativa, i fondi necessari per la realizzazione del proprio scopo istituzionale e ha curato gli aspetti relazionali con i soggetti pubblici e privati coinvolti per garantire tutte le possibili sinergie e conseguire una gestione coordinata. Si è impegnato a programmare un idoneo piano di lavoro e di comunicazione, a curare la promozione delle attività intraprese, e a mettere in atto ogni altra operazione utile o necessaria per il conseguimento degli obiettivi prefissati. Per realizzare il programma Comitato e Comune hanno dato vita a un ‘tavolo operativo’, un luogo d’incontro delle risorse umane dei due soggetti e degli altri attori del territorio rispetto ai singoli progetti in corso d’opera, grandi o piccoli. Il tavolo è divenuto gradualmente il luogo di confronto privilegiato degli addetti ai lavori pubblici e privati per trattare il quotidiano svolgersi delle attività del territorio – di sistema o singole – che avessero una matrice socio-culturale o turistica con impatto diretto e indiretto sulle comunità. In conclusione, non c’è una singola strada da percorrere per mettere in atto politiche culturali per il patrimonio. Se però il fine è condiviso (ed è quello di rendere la cultura un elemento stabile del nostro vivere comune) è allora più semplice innestare processi nuovi, mettere a frutto i finanziamenti, garantire a tutti un accesso al patrimonio culturale nella sua accezione più ampia. Questo cambiamento alla fine si vede nelle vite di ognuno. Il Comitato di Parma 2020 rappresenta un modello operativo la cui sperimentazione ha richiesto un impiego di risorse umane, intellettuali ed economiche ingenti, sul piano relazionale, amministrativo e gestionale. Ma il modello di governance sviluppato ha dato corpo a una visione contemporanea della cultura come investimento sul benessere della comunità e ha permesso il suo evolversi, grazie alla continua condivisione con il sistema privato (impresa e terzo settore), che ha contribuito concretamente investendo tempo e risorse nel processo. Su queste basi si fondano il continuo coinvolgimento degli stakeholder e la promozione di un costante dialogo costruttivo con gli stessi, fulcro imprescindibile di una progettualità che raccoglie e valorizza i risultati infrastrutturali e di visione strategica che hanno caratterizzato negli ultimi anni la città di Parma e che trovano, negli anni a venire, la promessa di una realizzazione condivisa con i cittadini e con i diversi attori sociali, culturali, educativi ed economici.

25 Riflessioni sui possibili modelli organizzativi per le città culturali Il presente contributo intende focalizzare l’attenzione su un tema molto sensibile che riguarda chi è chiamato a decidere come attuare le proposte presentate al Ministero della cultura e che attiene alla scelta del modello organizzativo da utilizzare. Punto di partenza è il seguente quesito: quale struttura organizzativa è necessario darsi per implementare il programma elaborato dalla città finalista e per gestire il post evento? Questo contributo è articolato in tre parti. Nella prima si intendono illustrare, sinteticamente, le principali opzioni organizzative che una città finalista può adottare e i possibili criteri di scelta da utilizzare per decidere quale tra i diversi modelli è preferibile scegliere; nella seconda parte sono illustrati alcuni fattori che condizionano la scelta del modello organizzativo; nella terza vengono sviluppate alcune considerazioni finali e operative. Le possibili opzioni organizzative e i criteri di scelta La scelta del modello organizzativo1 è una questione che tocca tutte le città finaliste che intendono realizzare il programma presentato e concordato con la comunità. In fase di candidatura, solitamente, le città si limitano a creare strutture temporanee informali e comitati promotori2 e il tema del modello organizzativo si pone nella predisposizione del dossier in cui si forniscono indicazioni alla commissione di selezione. L’implementazione di un progetto come quello della Capitale italiana della cultura è particolarmente complessa, richiede professionalità differenziate e una significativa capacità di project management. Sono necessarie infatti competenze artistiche e culturali in grado di realizzare la proposta artistica; competenze sui temi della sostenibilità ambientale; competenze sui processi di coinvolgimento e partecipazione dei cittadini Stefano Consiglio Università Federico II di Napoli Cfr. G.R. Jones, Organizzazione: Teoria, progettazione, cambiamento, Egea, Milano 2007. Su questo tema cfr. R.M. Bakker et al., Temporary Organizing: Promises, Processes, Problems, «Organization Studies», vol. 37, 2016. 1. 2.

26 e dei principali stakeholder; competenze amministrative per gestire le procedure necessarie di investimento e di acquisto; competenze di marketing, comunicazione e fundraising per raggiungere i diversi pubblici e garantire la sostenibilità economica del programma; competenze rispetto alla valutazione dell’impatto per misurare le ricadute economiche e sociali dell’evento sulla comunità. Una struttura organizzativa in grado di garantire la presenza di queste competenze o la capacità di acquisirle sul mercato è fondamentale e le principali macro-opzioni tra cui le città sono chiamate a scegliere sono sostanzialmente due: 1. l’utilizzo di una struttura organizzativa esistente a cui affidare la realizzazione del programma e la gestione del post evento; 2. la creazione di una nuova struttura organizzativa. La prima opzione consiste nello scegliere di affidare la gestione agli uffici comunali preposti alla cultura e al turismo (ampliando le loro funzioni) o a un’eventuale agenzia, già esistente, controllata dalla città (fondazioni culturali, società in house, ecc.). Ovviamente, se si intende perseguire questa macro-opzione, la soluzione da mettere a punto può presentare diverse varianti. È possibile, infatti, attribuire la responsabilità del progetto a dirigenti/funzionari di un’unità già esistente all’interno della struttura organizzativa del Comune (ampliandone le funzioni e le attività) o creando nuove unità operative, o ancora strutture organizzative temporanee (Unità speciali di progetto). Le stesse problematiche si pongono se la scelta è di affidare la gestione ad agenzie esistenti. La seconda opzione consiste, invece, nel creare una nuova organizzazione a cui affidare la direzione dell’evento con l’eventuale obiettivo di dare sistematicità e continuità al progetto elaborato. Se si opta per questa soluzione bisognerà prendere diverse decisioni e in particolare: • definire vision/mission del nuovo soggetto e perimetrare l’ambito nel quale opererà; • fissare l’orizzonte temporale della struttura organizzativa (struttura temporanea o permanente?); • scegliere il numero, la tipologia e il peso degli stakeholder da coinvolgere nella governance; • definire l’assetto organizzativo del nuovo soggetto e reclutare le risorse umane necessarie per garantirne l’operatività. In questo caso occorre decidere anche la forma giuridica della nuova struttura e su tale argomento si rimanda al contributo di Federico Caporale. Due sono quindi le macro-opzioni a disposizione e all’interno di ognuna è possibile identificare una pluralità di possibilità tra cui le città finaliste possono scegliere. Secondo i principali approcci alla progettazione organizzativa è possibile affermare che non

27 esiste nessuna alternativa migliore in assoluto (assenza della one best way). Tutte le diverse opzioni, sinteticamente presentate, sono potenzialmente utilizzabili e il compito dei policy-maker è quello di scegliere il modello in grado di essere più rispondente agli obiettivi e ai piani predisposti dalla città candidata. È necessario sottolineare che potrebbe riscontrarsi una tendenza all’isomorfismo organizzativo, ovvero a utilizzare i modelli organizzativi che negli anni precedenti hanno realizzato progettualità di successo. Tale tendenza ad adottare modelli sperimentati, riconosciuti e istituzionalizzati si scontra con la necessità di tener conto di una pluralità di fattori che differenziano le candidature e le caratteristiche dei soggetti proponenti. Un altro possibile approccio da seguire per scegliere l’assetto organizzativo è quello ‘contingente’3 in cui la decisione è condizionata da una serie di fattori in parte legati alle preferenze organizzative pregresse della città (path dependence) e in parte al contesto. Nella scelta del modello organizzativo bisogna quindi tener conto di una pluralità di aspetti, come: gli obiettivi dei promotori, le caratteristiche dei proponenti (dimensione, esperienza, competenze pregresse), gli assetti organizzativi consolidati e il contesto. Se effettivamente tutte le città finaliste decidono di implementare il loro programma, sarà possibile legittimamente identificare dieci diversi modelli organizzativi perché i punti di partenza, le finalità e le caratteristiche del contesto ambientale delle comunità di riferimento sono profondamente diverse. I fattori che condizionano le scelte organizzative Nel caso in cui i policy-maker decidano di seguire un approccio decisionale contingente sarà necessario identificare i fattori in grado di condizionare la scelta del modello organizzativo e capire in che modo possano orientare le valutazioni di chi ha la responsabilità di decidere su questo ambito. Tali fattori sono numerosi, ma tra i principali è possibile identificare i seguenti, che verranno poi approfonditi: • motivazione di fondo della candidatura • dinamiche di ingaggio (processo di ideazione della candidatura) • propensione all’inclusione degli stakeholder • dimensione del soggetto proponente • assetto organizzativo di partenza • presenza di un tessuto di attori culturali interessati a progettualità di comunità. Cfr. H. Mintzberg, La progettazione dell’organizzazione aziendale, Il Mulino, Bologna 1983. 3.

28 La motivazione di fondo della candidatura Le motivazioni che spingono le città a presentare le candidature sono ovviamente tutte ispirate dagli obiettivi definiti dal Ministero della cultura italiano, ma al tempo stesso è necessario sottolineare che ogni realtà sceglie di partecipare per ragioni in parte diverse. In molti casi la scelta di presentare la candidatura è principalmente motivata dalla volontà di accelerare un processo di community building. In questo caso la candidatura è un catalizzatore di energia e sforzi e sotto certi aspetti la ‘vittoria finale’ non è necessariamente fondamentale. In altri casi invece la motivazione prevalente potrebbe essere quella di acquisire maggiore visibilità e migliorare la reputazione della città candidata. In questi anni, infatti, il format Capitale italiana della cultura ha assunto un peso significativo che garantisce alla vincitrice una grandissima attenzione mediatica. Ciò può impattare sulle scelte organizzative perché, laddove dovesse affermarsi la prima motivazione, la tendenza a creare strutture organizzative ex novo potrebbe rafforzarsi in quanto permetterebbe di includere nella governance in modo più stabile e strutturato i soggetti coinvolti nel processo di community building. Se invece la motivazione principale della candidatura è la volontà di acquisire maggiore visibilità, si potrebbe optare per l’utilizzo di strutture organizzative già esistenti. Le dinamiche di ingaggio della candidatura Le candidature a Capitale italiana della cultura sono il frutto dell’azione corale di una comunità, ma analizzando con attenzione la generazione di questi processi emerge che i progetti possono essere attivati con una spinta prevalente dal soggetto amministrativo (amministrazione comunale o unione di Comuni) che ha progressivamente coinvolto attori del territorio. In altri casi, invece, il processo di attivazione nasce nella comunità e tra gli attori culturali che sono stati in grado di coinvolgere i policy-maker locali. Se viene preferita la prima dinamica verrà probabilmente scelta una struttura organizzativa già esistente; se al contrario prevale la seconda dinamica si andrà a creare una struttura ex novo, in grado di meglio rappresentare le istanze degli stakeholder che hanno svolto un ruolo centrale. La propensione all’inclusione degli stakeholder La spinta a presentare la candidatura a Capitale italiana della cultura in alcuni casi può essere il frutto della volontà di rafforzare e istituzionalizzare la collaborazione tra una pluralità di stakeholder culturali all’interno di una specifica comunità. Laddove, quindi, il Comune capofila, o l’unione di Comuni, senta questo bisogno, la tendenza sarà solitamente quella di optare per un nuovo modello organizzativo in grado di accogliere nella nuova governance gli stakeholder che si vogliono includere. La dimensione del soggetto proponente Un altro fattore che condiziona la scelta del modello organizzativo è la dimensione del

29 soggetto proponente. Per riuscire a implementare il programma, ma soprattutto per garantire un impatto all’evento e immaginare nuove politiche culturali, una città deve dotarsi di una struttura minima di gestione e spesso un piccolo Comune da solo non ha la possibilità di garantire queste competenze. La dimensione del soggetto proponente può condizionare la scelta del modello organizzativo spingendo verso la creazione di strutture nuove se il Comune che intende implementare la candidatura non è molto ampio. L’assetto organizzativo di partenza Le scelte organizzative delle città finaliste sono condizionate dall’assetto organizzativo di partenza. Se infatti la finalista già dispone di strutture/agenzie preesistenti con competenze simili a quelle richieste per la gestione della manifestazione la spinta a utilizzare tali strutture sarà molto elevata sia per ragioni di costo che di tempo. La loro assenza, invece, potrebbe spingere a crearne delle nuove. La presenza di un tessuto di attori culturali interessati a progettualità di comunità La possibilità di optare per un modello organizzativo nuovo e capace di includere nuovi stakeholder è condizionata non solo dalla volontà del Comune finalista, ma anche dalla presenza di un solido tessuto di attori culturali interessati a partecipare alla governance di tali strutture organizzative. La scelta di strutture già esistenti gestite esclusivamente dal Comune proponente a volte è legata non tanto dalla volontà di mantenere il totale controllo sull’iniziativa quanto dalla mancata disponibilità di attori culturali e sociali del territorio a partecipare alla gestione dell’evento. La scelta del modello organizzativo e di governance è una scelta condizionata quindi da numerosi aspetti e le possibili alternative sono numerose. Richiamando il contributo di Federico Caporale è possibile identificare tre principali macro-opzioni: • la gestione diretta da parte del Comune; • la costituzione o l’utilizzo di moduli organizzativi privatistici (società, fondazioni, ecc.) dotati di personalità giuridica, di autonomia finanziaria e contabile e di una più o meno ampia autonomia operativa, partecipati esclusivamente dall’amministrazione; • la costituzione di partenariati istituzionali, cioè di moduli organizzativi (società, fondazioni, consorzi, forme associative tra soggetti pubblici, ecc.) costituiti dall’ente locale e da soggetti privati e/o da altre pubbliche amministrazioni. Riprendendo i fattori descritti nel precedente paragrafo è possibile verificare in che modo ogni opzione risponde alle caratteristiche peculiari della città finalista (vedi tabella, p. 31). In particolare il modello della ‘gestione diretta’ tende ad affermarsi quando lamotivazione di fondo della candidatura è la volontà di acquisire maggiore visibilità e migliorare la reputazione; quando la spinta alla presentazione della candidatura è venuta dall’amministra-

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